Storia della chirurgia protesica mammaria. Curiosità sugli impianti protesici.

Un po’ di storia della chirurgia protesica mammaria

Chirurgia delle mammelle

Affrontando il tema della chirurgia del seno è necessario sfatare una serie di pregiudizi o “miti metropolitani” che si sono andati creando al riguardo:

NON E’ VERO che le protesi possono scoppiare!

NON E’ VERO che non si possono avere figli dopo un intervento di mastoplastica!

NON E’ VERO che non si può più praticare sport e non è necessario comportarsi come se si avessero dei ciondoli di vetro appesi al torace!

E’ VERO che per un periodo antecedente ed uno successivo all’intervento non bisognerebbe fumare, sarebbe opportuno praticare attività fisica per rinforzare i muscoli e condurre una vita sana, infine è vero che bisogna ricorrere a un chirurgo esperto, effettuare l‘intervento in una clinica ben attrezzata dopo essersi sottoposti ad analisi mirate e soprattutto affidarsi ad un professionista serio, che usi protesi adeguate, di materiale a lui ben noto e realizzate con ogni garanzia di legge.

Psicologicamente possono creare disagio e complessi tutte le anomalie della mammella: che sia piccola, grande, cadente o sfibrata dopo la gravidanza, questa parte del corpo femminile riveste un gran peso psicologico sull’accettazione di sé da parte della donna. 

Inoltre negli ultimi anni la moda ha iniziato a proporre seni sempre più grandi come modello di bellezza e sensualità, ma è fondamentale precisare che la moda non dovrebbe MAI condizionare le decisioni di cambiare o meno il proprio corpo. 

Le motivazioni per sottoporsi ad un intervento estetico devono essere ben chiare, serie, ragionate, basate sullo stare bene con se stessi e con il mettere in armonia il proprio aspetto esteriore e quello interiore. 

Quindi, se desiderate sottoporvi ad una mastoplastica affrontate tranquillamente l’intervento ma fatelo perché ne avete bisogno per stare bene psicologicamente e non perché lo impone la moda!

Aumentare il seno: il sogno della donna moderna

Il seno, da sempre simbolo di femminilità, seduzione e sensualità, è stato oggetto, nel corso del tempo, di diverse correnti di pensiero.

Nel corso degli anni non sempre il concetto di bellezza ideale corrispose ad una donna con mammelle molto abbondanti. Negli ultimi decenni dell’800, in particolare, cominciò a diffondersi in Europa una procedura chirurgica di riduzione del seno, con la corrente di pensiero fomentata dal nazismo, la nuova donna era sana, sportiva, dal corpo androgino ed atletico. 

In seguito, grazie ai cambiamenti della moda che impose abiti fascianti molto stretti in vita, il seno tornò in primo piano e si assistette alla creazione di reggiseni modellanti che rispecchiavano il desiderio delle donne di aumentare le dimensioni delle proprie mammelle. Addirittura venne coniato il termine di “sindrome del seno troppo piccolo”.

Dagli anni ’50 iniziò quindi a pieno titolo l’era delle maggiorate e la mastoplastica additiva si diffuse rapidamente.

La prima mastoplastica additiva risale alla fine dell’800.

La storia della mastoplastica additiva ha inizio nel 1895 quando un medico tedesco, Czerny, tentò di ricostruire una mammella ad un’attrice inserendovi un lipoma del dorso. A questo primo tentativo ha poi fatto seguito l’utilizzo di protesi per il seno dei materiali più disparati (e ancor oggi non sappiamo cosa sia veramente accaduto e cosa rientri nelle leggende), qualcuno parla di impianti mammari addirittura di vetro o avorio.

I primi veri interventi a scopo puramente estetico documentati sono stati eseguiti dal Dott. Robert Gersuny, chirurgo austriaco che operò nell’ultimo decennio dell’800. 

Il miraggio di ottenere finalmente un seno perfetto spinse le pazienti dell’epoca a sottoporsi a rischiosi interventi con infiltrazioni mammarie di paraffina. L’elevata incidenza di complicazioni gravi quali l’embolia polmonare o cerebrale e la formazione di noduli infiammatori solidi (paraffinomi) ne ha fatto terminare ogni utilizzo medico attorno agli anni 20 del XX° secolo.

Un altro esperimento: le spugne

Intorno alla metà del secolo scorso si provò ad inserire nel seno spugne di diverso materiale, dal nylon, al poliuretano, al teflon. Tale tecnica diede inizialmente risultati soddisfacenti, ma a distanza di un anno, le donne notavano un indurimento e restringimento della protesi e la successiva eliminazione della stessa lasciava cicatrici molto evidenti che sfigurano il seno. 

Non solo, venne altresì messo in evidenza che il polivinile portava rapidamente allo sviluppo tumorale e come la porosità delle spugne tendeva ad assorbire il tessuto mammario stesso. 

Nel frattempo continuavano ad essere utilizzati sperimentalmente i materiali più disparati (piccole sfere di vetro e avorio, lana e cartilagine d’ossa).

E poi… cominciò l’era del silicone!

Con la seconda guerra mondiale arrivò il silicone. 

Le prime donne che si sottoposero alla nuova tecnica di infiltrazioni di silicone furono le prostitute giapponesi, che volevano adattare il proprio corpo alle “preferenze” degli americani. 

Fu poi la volta delle ballerine di San Francisco e di Las Vegas, all’inizio degli anni ’60. 

Purtroppo, l’impiego di materiali industriali ad opera di personale non specializzato provocò conseguenze anche di grave entità, come infiammazioni croniche che resero necessaria la mastectomia, a causa della “migrazione” del silicone nei tessuti.

L’evoluzione del silicone verso la forma ottimale

Nel 1961  i chirurghi Thomas Cronin and Frank Gerow svilupparono, in collaborazione con Dow Corning Corp il progetto di una nuova protesi del seno di silicone. 

Il primo impianto venne eseguito nel 1962 e l’introduzione nel mercato di massa iniziò nel ’63. 

Nei 30 anni successivi vi fu un susseguirsi di processi di miglioramento della sacca, che venne prodotta infine senza cuciture, con un gel più fluido e simile ai tessuti naturali, pur mantenendo la forma iniziale.

Nel 1990 una commissione della Camera presieduta dal rappresentante Ted Weiss tenne le sue prime udienze sulla sicurezza degli impianti al silicone, da questo scaturì un certo clamore per i media: si denunciava che le procedure, seppur migliorate, fossero gravate da ingenti complicazioni a lungo termine. 

Nel 1991 il primo caso giudiziario si concluse con una sentenza secondo cui gli impianti al silicone venivano ritenuti responsabili di malattie del sistema immunitario delle pazienti, fu depositata una richiesta di danni pari a 7 milioni e 300 mila dollari contro Dow Corning, l’inventore degli impianti al gel. Un ampio numero di pazienti sottoposte a mastoplastica con silicone lamentarono di avere sviluppato una serie di sintomi multiformi e divergenti, che comprendevano stanchezza cronica, artrite reumatoide e altre malattie infiammatorie delle giunture, lupus, danni al sistema immunitario e sclerodermia (indurimento della pelle e degli organi interni).

Negli Stati Uniti le protesi in silicone vennero bandite (almeno inizialmente) mentre in Europa restò il materiale preferito da migliaia di donne e di chirurghi estetici.

L’evolversi delle tecniche produttive, le evidenze cliniche, l’esperienza data dal grande numero di pazienti e le sempre più rigide norme produttive hanno portato ad oggi un recente cambio di direzione anche negli Stati Uniti, dove le protesi in gel di silicone sono rientrate a pieno titolo nella chirurgia della mammella, in quanto ritenute innocue per la salute.

Le protesi in silicone oggi

Le protesi più evolute, quelle al gel di silicone, hanno oggi una particolare superficie testurizzata, ovvero rugosa e sottile, che si adatta naturalmente al seno riducendo al minimo il rischio di incapsulamento. 

La contrattura capsulare é una normale reazione dell’organismo all’inserimento di un corpo estraneo e consiste nella formazione di tessuto fibroso attorno all’impianto. Con le vecchie protesi era facile che questa sorta di guaina protettiva diventasse troppo compressiva causando forti dolori, oltre ad un aspetto innaturale del seno. Con le protesi di ultima generazione, invece, questo inconveniente viene ridotto al minimo grazie ad una progettazione di impianti altamente tecnologici. La presenza inoltre di uno speciale involucro esterno in elastomero siliconico (materiale particolarmente selezionato per la sua resistenza, durata e flessibilità) ha inoltre  risolto egregiamente il problema della diffusione, ovvero del trasporto di micro-gocce di silicone dall’interno della protesi verso l’esterno della capsula.

Ma c’é di più: le protesi al gel di silicone sono quelle che contribuiscono alla migliore simulazione di un seno naturale. Ecco perché sono le più amate dal sempre maggior numero di pazienti che decidono di sottoporsi a tale intervento.

La mammella, segno di femminilità e tratto sessuale indiscutibile nella donna, è sempre stata motivo di ammirazione ed eventuali preoccupazioni non solo da parte del sesso femminile, ma anche da quello maschile, nel corso dell’intera storia dell’umanità.

Un seno bello e in armonia con il resto del corpo si accompagna ad autostima e sicurezza nelle relazioni interpersonali, può rendere la vita sessuale maggiormente appagante, è sinonimo di femminilità e maternità. 

Per tali ragioni è l’organo che rappresenta indiscutibilmente il mondo femminile ed ogni donna ne cura accuratamente l’aspetto esterno (forma, dimensioni, altezza, caratteristiche dell’areola e del capezzolo) così come quello interno ovvero la capacità di allattamento e tutti quei controlli medici volti ad assicurarne la salute. 

La chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica offre la possibilità di migliorare e ristabilire i normali canoni estetici della ghiandola mammaria, naturalmente cercando di far combaciare i desideri della donna con la vera probabilità chirurgica di ottenere tali risultati. 

Il chirurgo plastico, colloquiando con la paziente cerca di interpretarne e valutarne i desideri nel dialogo preliminare, chiarendo i suoi dubbi, rispondendo a tutti i quesiti e spiegandole accuratamente le fasi dell’intervento chirurgico e cosa aspettarsi da tutto il periodo post-operatorio